lunedì 28 febbraio 2011

Musica invisibile.

Stava proprio tra quei due negozi, uno di lampadari l’altro di cucine di lusso, in quella via di ricchi.

Suonava la chitarra, perfettamente accordata, consumata da anni di ditate e unto di nicotina, accordi duri di moneta da un euro usata come plettro, senza sbavature, metallici, cristallini. Non cantava, suonava e basta.

Stava lì, in piedi, con un maglione sporco di nuvole, fili che pendevano, sottile, sembrava carta.

Suonava, con questa chitarra e questo maglione, nudo dalla vita in giù, il cazzo moscio, le vene scure, la pelle bruna di freddo, le gambe smagrite, le ecchimosi, i piedi duri di asfalto, fuliggine e chilometri, la faccia appuntita e i pochi capelli grigi e neri.

Tremava un poco, mentre scandiva il suo suono millimetrico, il cazzo balbettante nell’aria gelida, la bocca serrata, nessuno lo vedeva, nessuno lo sentiva, nessuna moneta cadeva nella custodia della chitarra afflosciata sul selciato.

Nessuno lo guardava, nessuno lo ascoltava.

In quella via.

In qualsiasi via.

mercoledì 16 febbraio 2011

Piccole illuminazioni quotidiane.

Quando suo figlio venne a trovarlo per giocare con la sua nuova wii, capì.

“Wì? U capì.”, si disse.

Non appena avevano iniziato a giocare, era partita quella voce querula di bimbo di dieci anni, quel pamphlet vivente che aggrediva tutti i difetti dello stupido giochino, in ogni minimo particolare, tecnico, giocabilità, rendering, choppering, sticazzering.


Quando interruppe quella litania con una domanda, voltandosi a guardarlo con quegli occhietti saccenti in attesa di risposta, capì.


Doveva ucciderlo.


Ma come, è tuo figlio!


Appunto.


Un coso petulante come quello non posso mica lasciarlo libero di andare in giro per il mondo a cagare il cazzo all’altrui gente degli altri.


Porta il mio cognome, porcaputtana!


Vabbe’, forse sarebbe bastato ammazzare la sua ex moglie.


Ma no, via, tutte e due.


Crepi l’avarizia.