giovedì 22 dicembre 2011

Sono tempi molto duri per me.

Oggi ho scoperto che la faccina --> *__*

significa: commozione.

Io credevo volesse dire "sono pirla ma molto simpatico".

L'ho usata a sproposito per ANNI.

Ma CACCACULO!

Che vita di merda.

Ho cambiato anche il titolo.
Per dire.

giovedì 1 dicembre 2011

Memo.

Ricordati che:

Io ho un blog.

Un blog in (su, per) cui scrivo (scriverò, ho scritto, meglio).

(CARA RAFLESIA GNEGNEGNE)

Ho messo a fermentare un'idea, ormai è quasi pronta, poi tornerò a scrivere un po' più spesso.

Forse.

Lascia sempre un posticino per i forse, fidati.

martedì 25 ottobre 2011

Commedia all'italiana.

Va bene va bene.

Ferrara, il Giornale, e tutti quegli altri, soldataglia, carne da cannone per il general Berlusconi, lo fanno per contratto.
Sarkozy scemo, Sarkozy brutto, ridi ridi poi vedrai chi riderà bene chi riderà ultimo, blblblbl, prott, gneck quack.

Ma c'è poco da tirare in ballo situazioni finanziarie, e la Francia qui, e L'italia mica come la Grecia là, e balle varie.
C'è solo da notare una cosa: quando mai è successo prima che un capo di stato deridesse così, in mondovisione, ufficialmente e storicamente, un altro capo di stato?
Mai, giusto?
È stato qualcosa di eccezionale, dico bene?
Ok.
Chi o cos'è quindi l'eccezione, in questo quadro?
Trova l'eccezione! Unisci i puntini! Colora i fottuti spazi!

L'eccezione è Sarkozy che non riesce a fare a meno di sorridere sarcastico sul bisogno di serietà e impegno richiesto a Berlusconi, o Berlusconi che si fa ridere a dietro da tutta la sala conferenza (e da tutto il mondo, esclusi gli italiani berlusconiani)?

Di solito si vede quello che si vuole vedere.
Ma ormai bisogna proprio non guardare, se no si sporcano gli occhiali.
Schizzi di merda e sperma.
È il Berlusca, bellezza.

giovedì 29 settembre 2011

Comma 22. No, cioé, 29, ecco.

L'unico motivo valido per chiedere la rettifica è la certezza di essere onesti.

Chiunque chieda la rettifica non è onesto.

Ok, si tratta del comma 29 del ddl di riforma sulle intercettazioni, ecco due link ad articoli meno sintetici:

uno della Fatacarabina, articolo contrario al comma, come immagino lo siano un po' tutti quelli che ci hanno dei blog

e l'altro di un signore che non conosco, Bortocal, che invece è a favore.

venerdì 16 settembre 2011

L'ultima guerra.

Il giorno che scoprimmo che dio non esiste fu un giorno difficile.

Poi i giorni a seguire furono peggio.

Il mondo si lacerò come una crosta grattata via, sangue marcio e pelle.

Infinite blatte sgorgarono dal buco di quel muro che crollava, infetto e consunto, disperdendosi per campagne e città, lasciando un sugo nero di morte su ogni casa, prato e palazzo, montagna e città e piazza e colore.

Poi tutto pian piano seccò.

Al sole, con calma.

Al sole seccò.

Ora siamo rimasti così in pochi, qui a Sesto San Giovanni.

Ma ci sono i boschi, l’erba e gli alberi che crescono sulle rovine della città, ammorbidiscono queste mani spezzate di cemento che sorgono dalla terra, i resti di Sesto, ricordo di come eravamo prima, rivolti al cielo, intrappolati al suolo.

E tanti posti dove sedersi, quando hai finito di lavorare.

Ti siedi, tra gli amici e i tuoi amori.

E pensi, parli, fantastichi, dipingi, scolpisci, progetti, scrivi, declami.

Socchiudi gli occhi, rimani in silenzio.

Il sole tramonta.

Che pace.

Dio non c’è più.

venerdì 26 agosto 2011

Circus.

Sono lì che faccio il pagliaccio.

Gesticolo, scherzo, scherzo e scherzo, fare finta d'esser sempre contenti.

Mi fa l'effetto di una corsa affannata, e poi cado, le gambe troppo molli, le scarpe troppo grandi, cazzo, che stanco che sono, voglia di marmellata di ciliege.

Rimango lì seduto per terra, le ginocchia sbucciate tra i buchi dei pantaloni, le mani livide, che male, il carrozzone che si allontana, fanculo, non lo raggiungo più ormai.

Respiro affannato di sudore, mi passo l'avambraccio sugli occhi, il cerone vien via a chiazze, un po' qui, un po' là.

Un disastro.

Cazzo che stanco che sono.

mercoledì 10 agosto 2011

No, ma continuate.

La festa era una di quelle tra amici.

Gli altri si conoscevano da tempo, mezze frasi e capivano tutto, vecchi scherzi tra di loro, ridevano.

Qualcuno chiamava qualcun altro dall’altra parte della casa, la musica, l’aria viziata, le parole, qualcuno beveva, qualcun altro fumava, erano tutti allegri.

Lui scambiò qualche battuta, una stretta di mano qui, una pacca sulla spalla là, fece finta.

Era bravo a fare finta.

Ancora qualche saluto a casaccio, la mano alzata, pian piano scivolò verso la porta.

Uscì che ancora stava sorridendo verso facce mai viste prima.

Chiuse la porta con cautela.

Nessuno se ne accorse.

Andò alla stazione e prese il treno.

Verso il primo mare che riuscì a incontrare.

Il mare, ah, il mare.

Nessuno si ricordò mai più di lui.

mercoledì 27 luglio 2011

Certo che se ogni volta vi devo spiegare tutto.

Allora, cari fanatici razzisti, fermi un attimo.

Le persone normali, o se preferite, gli anti-razzisti, comunisti, anarchici, democratici, querchevepare, solitamente concedono la libertà di espressione a tutti solo in un contesto in cui è pratica comune che tutti concedano libertà di espressione.

IN QUESTO CONTESTO, dove chiunque non abbia la religione che dite voi, le convinzioni che dite voi, l'educazione che dite voi, il colore, la puzza, i gusti, i piedi, i denti, il cazzo e la figa che dite voi, IN QUESTO CONTESTO dove chiunque non sia come volete voi finisce massacrato a fucilate in faccia, bruciato, ingabbiato, rispedito nella merda, IN QUESTO CONTESTO:

non lamentatevi poi se vi concedono solo sprangate e calci nel culo.

Non mi scandalizzo, non piagnucolo per quel che dice Borghezio, o per il fatto che stia seduto in parlamento, o per il fatto che quasi tutta la Lombardia la pensi esattamente come lui.
O sto zitto e tiro avanti, magari prima o poi le cose cambieranno.
O tiro fuori la spranga dall'armadio e son cazzi miei.
O di chi non la pensa come me.
Contenti?

giovedì 14 luglio 2011

Andare, lontano.

Non voglio frasi lunghe, magari piene di virgole, con tante parole tutte leccate e pettinate, quelle che se parlo col Piero che ciapa su la bicicletta in del curtil, mica le uso mai, ma mai.

Non voglio quelle tiritere, tutte occhi tristi, cuori spenti, desideri rimasti col culo per terra, che rimbalza ancora per l’inerzia e fa i rumorini di frenata come nei cartoni animati, e allora via tutti a piangere mancanze, delicati ma solenni, integri nella disfatta, che alle donne piace, eh?, vedrai che si tromba a sangue.

Non voglio nemmeno la camminata lenta, elegante, storta e dignitosa, l’eroe di tutti i giorni, polvere e sole crudo sui vestiti sporchi, ma che commozione, guarda, ma che guardi che mi commuovo solo io, gli altri son lì, sbadigli imbarazzati, mi mandano affanculo, fan così con la mano, ma vai va’, va’!


Non voglio personaggi che non vedi, non incontri, non senti il piscio e sudore di un qualsiasi vecchio curvo su una carrozzina lì nei corridoi verdognoli e senz’aria, non tocchi, non pensi che sembra tutto vestiti, il corpo dov’è qui sotto?, che merda morire così, lento, su pavimenti lucidi.


Non voglio un mondo dove tutto torna, magari male, fa male, o bene, fa ridere, ma torna, tira la riga e c’è il risultato, ma quando mai due, tre, quattro, ma bastano solo due, strade si sono incastrate bene, come si deve, son tutte curve, spaccate, l’acqua dai tombini, sassi ed erba secca, che cazzo pretendi?


Non la voglio ‘sta roba.

Andate via di qua.
Non si può.

venerdì 1 luglio 2011

Milano sono tutto tuo.

Avete iniziato qualche mese fa.

Robe qualunque, non so, passarmi davanti mentre ero in fila alle poste, io che vi guardavo con l’occhio che ‘l diseva uè, ‘ste fé? Spèta il tuo turno, ma voi niente, uno, due tre, tutti a fregarmi il posto, uè alora?, urlavo, e vi fermavate, però ‘stavolta voi con l’occhio da e questo?, da dove salta fuori, l’avevi minga vist.

Poi tutto normale per giorni, e poi ancora ricominciavate, non so, tipo che quasi mi stirate che sunt in mèss alle strisce pedonali, e non una, ma due, tre macchine di seguito.

Autobus che tiran via dritto, mentre sun lì a la fermada, cani che mi pisciano addosso, spintoni sui marciapiedi, ma vada via i ciap pirla! Urlo, urlavo sempre quando facevate così, e niente, non mi sentivate.

Non mi vedevate.

Pian piano sempre di più, finché manco i mè amis, manco voi... al punto che niente più telefonate, anzi, telefonare sì, ma sentire no, pronto?, pronto?, ma chi è, e io parlavo, parlavo, ma sempre di là voi che, ma chi è?, basta telefonare e disi nient!, e giù la cornetta.

Allora basta. Ho smesso.

Non mi vedete più? E son cazzi vostri.

Roba gratis al supermercato, al cinema, dove mi pareva.

Solo, solo e solo. In mezzo a tutti voi.

E poi non ti arrivan quei chì?, gli Alter… non è milanese, non è vi alter, sono gli Alterdimensionali. Alieni da un’altra dimensione.

Arrivano gli Alter e vi riempiono la testa di cazzate a vi alter (ridere), e in qualche settimana, un aggeggino nell’ore cchio qui, uno là, e via, tutti con 'sto coso nei urecc, uno per ognuno di voi, fatto su misura, solo qualche settimana è bastata, e via che ve ne siete andati tutti.

Tranne me, ovvio: a me manco gli Alter mi hanno visto. Magia, miracolo, fregati, fregato.

No aggeggino, no parti, sì rimani.

Non solo non mi vedete più, ve ne andate pure. Vabe’, l’è li stess.

Ora mi siedo qui in alto, su questa Milano, da solo, solissimo, solerte, quasi. In mezzo a nessuno di voi.

Qui, in cima alla torre Velasca, e guardo. Vedo la sfera, quella degli Alter, ancora qualche scarica elettrica bluastra, ma lentamente si sta dissolvendo. Lascia il nulla al posto del Duomo.

Aprire la porta dimensionale proprio addosso al Duomo, su no mi. ‘Sti chì me la cunten minga giusta. A Roma sul cupolone, qui sul Duomo, buchi nella nostra dimensione, sì, però propri dove ci sono… secondo me ce l’hanno su con l’arte. O con la religione.

Con noi.

Vabe’, tanto ormai l’è tardi.

Respiro, aria dolce, ghiacciata, plano con lo sguardo sui tetti, le finestre, qualcuna illuminata, luce dimenticata accesa, che fretta voi tutti, che impazienza di andarvene, accarezzo i muri gialli, grigi, azzurri e blu per la sera che si sdraia lenta…

Che pace.

Che vento.

Dondolo le gambe nel vuoto di città.

Sorrido.

Milano ha gli occhi stanchi.


Questa finestra si affaccia sullo stesso paesaggio di quest'altra.

giovedì 16 giugno 2011

Le cose che preferisco.

Il pianista suona, suona sempre.

È lì che si sbatte, dita secche, sigarette, unghie sporche e cenere, l’avorio malato e i tasti, accordo e poi accordo, una pezza, un’altra pezza, un’altra e poi un’altra, ma che ci vuoi fare, solo tu puoi, allora fallo, rivolta un rivolto, ancora, non tornare, sali in tondo, scendi ma sembra che sali, ora piove, strade e bolle di fango, ma ci sei, prova una quarta, no, rispramia fiato, quarta aumentata, ehi, non tirare, stagli dietro, lei, è lei il campione, una settima più, ecco, va bene, mica tu, ma lei la stella, assisti, suona, insisti, suona sempre.
Sempre.

Il pianista è un animale cieco e le spalle scure, ma ti guarda e canti, corri, danzi il tuo assolo, lui pensa a suonare, suona sempre, come fa?, non guarda mai, quelle mani, mani calde, ruvide e fumo, non si sa mica quando fuma, non lo vedi mai, dietro le curve, negli androni dei palazzi vecchi, quei cortili di terra dura e polvere e di chi lo sa, tu no, tu puoi solo immaginare, senti che è lì che fa girare il carosello, lì dietro, non manca mai, ecco un buco, no l’ha chiuso, avrà fumato prima, ecco che impenna una melodia, no, senti?, ora dorme, l’avrà fumata, non guardavi, vedevi avanti, ecco, torna, tredicesima, torna, settima poi sus quarta, poi minore, settima più?, no, ecco è a casa, ma pedala, se ne va di nuovo?, sì, pedala, pedala sempre.

Il pianista è lì, se tu ti volti, è sempre lì.
Che suona.

My Favorite Things, John Coltrane.
Piano: MacCoy Tyner.

lunedì 23 maggio 2011

Crepuscule with Nellie.

In questa vita qui sono stanco, sai?

Di giorni che sanno di bicicletta e tubo di scappamento, occhiaie e sale, schermi di luce bianca, volgarità tirate a lucido.

In quella vita là invece no.


Là i giorni sanno di terra e fieno, di ore fermo a fissare un orizzonte di foresta, le cime degli alberi che danzano con le braccia al cielo, là in fondo a quel mio mondo di laghi trasparenti, merda di cavallo e oceani di grano.


Poi, quando tutto diventa rosso, il sole si scurisce piano, io e Nellie prendiamo le coperte, ci mettiamo seduti in veranda.


Ci sono le assi che scricchiolano, le palpebre socchiuse, una sigaretta.


E il silenzio.


Io sono negro.


Ho sempre musica in pancia, pianoforte nelle dita, matematica negli occhi.


E Nellie.


Ecco, in quella vita… in quella vita io…


Mi muovo con grazia.

lunedì 9 maggio 2011

Parapocortodosso!

Il maniglione antipanico mi crea panico!

lunedì 11 aprile 2011

Assenza di segnale.

Tutto finito. Finito di leggere, finito di ascoltare musica, di scrivere.

Aveva pure finito di guardare i film e i telefilm scaricati dalla rete. Finiti tutti.

Erano le quattro del mattino, niente sonno, niente voglia di uscire. Niente da fare.

Per quello iniziò.

Accese la tele.

Effetto neve.

Lo sapeva già, eh? Non aveva mai fatto il cambiamento per il digitale terrestre, erano ormai anni che il suo televisore trasmetteva silenzio, non si aspettava altro. Ma la accese lo stesso.

Iniziò a scanalare, fip fip fip, buio nella stanza, poi grigiore azzurrino, prima uno, poi l’altro, fip, fip, sagome scure dei mobili e poi riflesso della tempesta di neve eterna che andava in onda su ogni canale, fip, fip, fip.

Ma poi fece l’errore di accorgersi che la luce che filtrava dall’esterno attraverso le persiane, fip fip fip, era uguale a quella dello schermo muto del televisore, fip fip… Allora riguardò la finestra, poi la tele, finestra, tele, fip, fip, fip, fip.

Scanalava, poi guardava la finestra. Andò avanti per, boh, ore? Si fermò solo ogni tanto a bere, accendersi una sigaretta, e giù di nuovo, fip, fip, fip.

Un brivido gli si era infilato sottopelle. Un dubbio freddo come sudore.

E se anche fuori… Bastava aprire la finestra e guardare. Sì, ma se poi…?

Non devo smettere, non devo smettere, metti che anche fuori…

Fissò di nuovo il televisore, quella luce di cenere che cade per sempre.

Poi la luce che strisciava sul divano, il pavimento, e arrivava fino ai suoi piedi nudi… era la stessa.

La stessa, cazzo, la stessa.

Non c’era uscita, non poteva più spegnere ormai.

Continuare, continuare, scanalare, scanalare, qualche cosa da qualche parte ci dovrà pur essere ancora, qualcosa, qualcosa, non guardare la finestra, non guardare, fip e poi fip, cambia canale, cambia canale, qualche cosa, una cosa, una sola cazzo di cosa, qualsiasi, da qualche cazzo di parte, dovrà pur esserci, deve, deve esserci.

Tu continua, non pensare.

Continua.

Fip.

Fip.

Fip.