domenica 28 marzo 2010

Siete ridicoli e ci state facendo salire la nausea.

(Questo articolo è stato pubblicato sul blog Terremoto: dove gli altri non arrivano, e lo ripropongo per gentile concessione di Marta e Monique, due autrici del blog)

Quanto pensate possa andare avanti questa pantomima?
Quante volte ancora pensate di mettervi in mezzo tra gli Aquilani e la loro città?
In questa giornata dominata dale elezioni passerà sotto silenzio l’ennesima buffonata andata in scena a L’Aquila.
La Digos sequestra le carriole.
La Digos sequestra le carriole?
Cioè mi state dicendo che, invece di fare un giro in quei cantieri dove gli operai lavorano 12 ore al giorno in barba a qualunque contratto, dove ogni legge dello Stato viene violata continuamente, invece di sorvegliare quelle case abbandonate dove gli sciacalli regnano sovrani, la Digos sequestra carriole ad Aquilani che vanno da soli a sgombrare le macerie???

Scusate, ma in che mondo viviamo?
Cioè, io lo domando agli uomini della Digos; non vi sentite dei buffoni? Chi vi ordina di fare queste cose?
No, poi perdiamo tempo anche a fare il verbale di sequestro della carriola. E non di una sola…



Perdiamo altro tempo ad identificare le persone che vanno a lavorare…

E, lo so che non si inizia una frase con la e, ma mi piace, oggi arriva anche la notizia della richiesta di spostare i processi in corso fuori da L’Aquila. Giusto per avere la certezza matematica della prescrizione, che già così incombe.

Questa è follia signori, una follia che qualcuno deve far cessare. L’Aquila non è una citta militarizzata, è solo una città messa in ginocchio da un evento devastante e i suoi cittadini hanno ogni diritto a fare tutto ciò che è possibile per rimetterla in piedi.

venerdì 26 marzo 2010

Telefono grigio.

È uno di quei momenti in cui in ufficio c’è il rebelotto.
Chi parla al telefono, chi con il collega operatore, chi con la macchia d’umido sul muro a forma di Tarzan con la sesta di poppe, mentre Mr Fantastic sta pazientemente ascoltando un commerciale che gli propina i suoi falsi problemi, insieme al suo falso Dio (no vabbe', mi è scivolata via, ma sicuro un bel Mammona ce lo si può infilare per associazione mentale).

Ma ecco che squilla il mio telefono.

Peppermind: Internettoes buongiorno, sono Peppermind.

Clientemisterioso: Ciao Pepper, senti...

PM: ...? (Chi è questa vocina che mi pare di conoscere e che mi chiama per nome e mi dà del tu...? Aspetta.... sospetto, TREMENDO sospetto... orrore strisciante... RACCAPRICCIO)

Clientemisterioso: Pepper? Mi senti?
Sono IMPOSSIBLE.

Sottotitoli pag. 666: Tutto rallenta, c'è silenzio assoluto, mentre Peppermind si porta le mani alle orecchie e spalanca la bocca in un'espressione di lacerante dolore detta anche "urlo di Peppermunch".

PM:
(sbircio aldilà del monitor, e in fondo all'ufficio… l’Impossible, col suo sorrisetto da criceto mi fa ciao con la zampetta roditrice) ... ma che vuoi?
Che è? Mi imiti Maroni?

Impossible: No, c'è casino, non si sente niente e volevo dirti... ma se-

PM: Anni e anni di perfezionamento del mio firewall percettivo, che esclude qualsiasi suono che provenga da TE, e mo' me lo aggiri con questo puerile trucchetto?

Impossible: (risatina da toporagno) No, è che ti volevo dire... ma tu per spedire una lettera usi il... franco pollo?
(risatina, risatina da viscidus exemplarii ungulatus)

PM: (Sbatto forte la cornetta sul telefono, più e più volte, fino a crearne delle crepe dalle quali esalano gas venefici, ed insistendo, ed insistendo, e ricorsivamente insistendo, riduco l'oggetto in frammenti i quali, mediante l'impatto finale, schizzano descrivendo archi a frusta elissoidale e disperdendosi per tutto l'ufficio fino a crivellare i corpi degli ignari presenti, tranne l’Impossible, il quale erige uno scudo di energia NON-mentale creato da battute che NON-fanno ridere solidificatesi per la loro innata vetustà e ridispostesi lungo le tre dimensioni, il qual riparo causa la contro-mossa pepperiana volta a riguadagnare i frammenti sparsi viaggiando a ritroso nel tempo e creando un probabile quasi-accesso quadri-dimensionale in cui infilare i bracci ormai dotati di servomeccanismi e strozzare con dita adunche, nodose e pelose il collo gallinaceo dell'Impossible.)


SE TELEFONANDO IO SENTISSI LA VOCE DELL'IMPOSSIBILE IO LO IMPOSSIBILITEREI CON OGNI RISORSA RIMANENTEMI DOPO IL FORTE SHOCK.

mercoledì 24 marzo 2010

R(h)umor G(r)igio: Il ritratto di Berluscon Grey.


Ecco il giudizio di Berlusconi, dettato da dovizia di analisi tematiche, sulle posizioni del giornalista Carlomagno:

“Capisco perché lei è così arrabbiato: perché lei al mattino, quando si guarda allo specchio, si è già rovinato la giornata.“

Ecco invece come Berlusconi controbatte argomentando a fondo attraverso esposizioni di teorie logicamente fondate su fatti inequivocabili la politica di Mercedes Bresso:

“Sapete perché Bresso è sempre di cattivo umore? Perché al mattino quando si alza e si guarda allo specchio per truccarsi, si vede. E così si è già rovinata la giornata.”

Per giustificare questa coerenza ferrea nel Berlusconi-pensiero, o se volete, per capire come mai ha ripetuto lo stesso insulto da bamboccio dell'asilo nel giro di pochi giorni, a mio avviso ci sono due ipotesi:

- i suoi ghostwriter hanno esaurito le idee per gli insulti, dato l'uso industriale che se ne fa in quel di Berluscolandia (di insulti, non di idee)

- in realtà è proprio a Berlusconi che alla mattina, quando si guarda allo specchio, gli viene un quasi-infarto (prima o poi ci rimane, non disperate), per via del volto disfatto da mancanza di chili di cerone (che significa "grossa cera", perché lui usa proprio quella tipo delle candele, se la spalma a badilate in faccia e si rimodella il volto, a volte si dice anche "perché non parli!?!") e dalla mancanza del lume della ragione (già innatamente poco presente, ormai estinto nel corso della vecchiaia), ed è proprio per questo motivo che l'orrore e il raccapriccio gli rimangono impigliati, impastati, nelle labbra che prendono a ripetere ossessivamente la stessa litania, con ritmo dettato dall'alzheimer, a qualsiasi persona, animale, oggetto, che gli sbarri il passo (è stato visto di fronte al portone della villa macherina mentre esclamava: "Sapete perché questo portone non si apre? Perché alla mattina si guarda allo specchio e si è già rovinato la giornata!").


Ridi, ridi, che lo specchio ha fatto i gattini.

mercoledì 17 marzo 2010

Quarkettoes: L'estinzione del tuttofare della dittà. (p. 2)

Buonasera amici.
Continuiamo oggi con la nostra serie di puntate dedicate all’enigma scientifico denominato “l’estinzione del Deadpool”, anche noto come Wade Wilson, il “tuttofare della dittà”.

Come ben ricorderete il Deadpool fu l’addetto al di tutto di più della tristemente nota società Internettoes, ovvero, passava dallo sturare i cessi all’aggiustare l’abbaggiur della cameretta del Jamie Braddock societario, frignante e piangente che non vedeva più i vaporetti del mississipi rosa riflessi sul soffitto (retaggio della sua educaiscien negli steiz).

Perché il Wilson è scomparso?
Che fine fece?
Dietro ci fu veramente la manina della Cabala?

Noi non ci permetteremo di formulare ipotesi, ma ci limiteremo esclusivamente a presentare i fatti: il carteggio Deadpool-Internettoes.

Mail del 21 dicembre 2004

Oggetto: mio cell.

ho una questione con il mio cellulare (me lo vedo mentre arrivano a male parole lui e il suo cellulare, seduti a un tavolaccio d’osteria con tanto di tovaglia a quadrettoni rossi e bicerìn de vinaccio sbattuto con forza sul tavolo che schizzetta tutto intorno... questo sì che è dare del tu alla tecnologia) quindi al momento sono seza (pahlavi?) per
qualche ora. In questo momento sono in uff.! (nel senso che sei in paranoia, uff, uffahh?)

Grazie mille

sono io Wilson
(I’m the Wilson? E Wilson sono i-o, un tutto far? Sulle note della nota canzone dei Matia Bazar? Non ci siamo resi ancora conto che il tuo nome e indirizzo mail appare a chiare lettere eh? Speriamo che tu non decida di mandare un’e-mail anonima…)

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Mail del 22 dicembre 2004

Oggetto: acqua-carta

Mary-Jane (una centralinista) avete (sì, ripeto, UNA centralinista, non si capisce l’uso della seconda persona plurale… forma arcaica di rispetto?) ricevuto la mia email in con (in con? Uhm… forse è una speciale email-in… ahhh, whatever) Emma (Frost) relativo (relativA… la miA e-mail… relativA… ma perché mi incaponisco? Ho i facioli sul gas, lasciatemi andare…) all'oggetto??

Wison (sì, senza “l”, non Wilson, ma proprio Wison… visto che ci siamo finiamo in bellezza con gli errori) ciao

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Mail dell’1 marzo 2005

Oggetto: malattia

(Dopo tre mesi di silenzio stampa ecco che ci spunta dal monitor)
Ciao a tutti, specialmente a Emma capo del personale "nostra sig.ra degli
insolventi" (una ola per il nostro eroe: tutti in piedi!). E bene si,
con rammarico comunico che mi sparo 1mese di malattia se tutto vabene, con
gravi cosguenze (in effetti una cosguenza è una roba gravissima, me l’ha detto anche mio nonno che ci aveva una cosguenza al piede) virali influenzale e chi piu ne ha + metta (chi pìu ne ha più metta, lo ripeto come un mantra e mi sento bene, amici). Mispice... (My Space?) vabbè
pazienza, lo so, so cosa significa essere soli, abbandonati in ufficio
freddo e desolato. come si dice: la ruota gira!
(silenzio attonito…)


Nooo... schezo (anzi facciamo le corna)!

Una burla.
(Che funambolica e inenarrabile sagacia che ti contraddistingue! Possinammazzà!)

Ah per domani 01-03, alle 9:00 conterei di andare subito xò

Mary-Jane sei pronta o dobbiamo passare dal via? (Non approfondiamo, meglio…)


Wilson


Che dire, amici?
Come al solito vi lascio ad assaporare queste parole scritte col sangue sulle chiappe del genio umano, e vi do appuntamento alla prossima puntata!
Saluti dal vostro
Peppe Angela.

sabato 13 marzo 2010

Coooon feeeee renza, conferenza canaglia, ti ritrovi con un cuore di pagliaaa (olltughedernau!)

A furia di chiamarli e rompergli le balle, tempo fa hanno deciso di assumermi all'Hyper Maieutic Phone Center, e di notte ogni tanto mi capita di sostenere strane conversazioni.

Peppermind: Hyper Maieutic Phone Center, chi è che non ho voglia?

Maroni: Proniii?

Peppermind: Maroni è lei?

Maroni: Sun mì, e alura?

PM: È inutile che fai l'accento svedese! E poi guarda che ti vedo… che cippa mi telefoni a fare? Stai due postazioni più in là della mia, varda varda… ti vedo che ti nascondi dietro il monitor! Ma che facia da pirla...
Ven chì a parlare, no?

Maroni: Mi al parli no coi comunisti, negher, fenocc, quater gatt, semper in gir a fare le manfifestassiùn de l'ostia, invece di laurà e fà i dané.

PM: Telefonare invece sì?

Maroni: Sì, non ti intercettano più, telefonare vale.

PM: Vabbe', ma che vuoi?

Maroni: Vori parlà delle schifesse che state facendo vi alter comunisti che ci impedite agli italia-

PM: Guarda, TU proprio no, parlare degli italiani, NO, per favore, un pelo di ritegno.
Al limite parla dei padani, che così mi faccio due risate

Maroni: Ci state impedendo di fare le elessiùn!

PM: Ah, ok, ciao, metto giù.

Maroni: No! VILLANO!

PM: Villa-che?
Ah, già, la cunferensa stampa... bellissima.
Non sei contento?
Berlusconi in diretta che dice PALLE monumentali, è fatta!
È il più grande traguardo della seconda repubblica: con la prima almeno si cercava di dire mezze verità, almeno in diretta… ora via libera alle falsità più evidenti.
Un bene per tutti eh?
Cioé, domani Bersani si sveglia che ci ha voglia di dire che la sinistra è stata sempre compatta, mai un un litigio, baciotti su baciotti con Bertinotti, che la sinistra al governo ha fatto tutto bene, ha cambiato l'Italia, estirpato la corruzione, il razzismo, ritirato le truppe da ogni guerra, che ha costituito la commissione per i fatti di Genova, punito i poliziotti assassini e torturatori di tutta Italia, restaurato i conti, varda come funsiona bene l'economia?
Niente di più facile: indice una conferenza stampa in diretta, e via a sparar balle.
Tutto ciò è eccezionale.

Maroni: Va be', ste voret... non poteva minga dire che chi doveva fare quelle robe lì, dare le liste, è un incompetente.

PM: L'hanno detto tutti, anche il tuo Boss(i).
Se fossi in Berlusconi lo ammetterei, e intanto batterei la strada del "è impensabile che il più grande partito d'Italia manchi alle elezioni"... magari appoggiando la proposta dei radicali di rinviare (e così puoi anche dare addosso a Bersani che non vuole).
Invece di lanciarti in decreti e accuse ai giudici che non li rispettano perché non sono ancora stati emessi (ladri e incapaci questi giudici, eh? non sanno leggere il futuro nei fondi del caffè di una escort zingara qualsiasi, che stupidi malfattori!).
O invece di accusare di narcolessia collettiva quei radicali che sono svenuti a unisono proprio davanti i piedini delicati di Milioni che non ha potuto scavalcarli e consegnare le liste in tempo...
Oppure sospendi Milioni e quell'altro, incolpandoli di essere stati pagati dalla diabolica sinistra per arrivare in ritardo (40 minuti DOPO la chiusura degli uffici erano ancora lì a passarsi le figurine, celo celo manca, serafici come due bambini ciccioni durante la ricreazione, non ti puzza?), gli dai qualche milione a Milioni, che suona pure bene, senti qui, "ho dato dei milioni a Milioni", lo lasci in frigo finché 'sta storia si risolve, e poi zitt zitt lo riammetti, tanto se puoi dire panzane clamorose in diretta senza che nessuno ti sputi in faccia, puoi anche riammettere un "finto", o vero, non importa, prezzolato dalla sinistra: a chi vuoi che importi?
Si può fare TUTTO ormai, caro camerata Maroni!

Maroni: Camerata a mì?

PM: Ah, no, chiedo scusa ai fascisti.
Soprapensiero mi era venuto un flash di La Russa coi pantoloncioni da puggile, e allora mi è scappato.
Ah, un gossip su La Russa: un mio amico andava al liceo con uno dei suoi nipoti.
Codesto nipote gli raccontò che una volta comparvero dei tovaglioli rossi alla tavola del patriarca La Russa, il quale esplose in una reazione convulsa di odio e furore mai visto!
Tovagliolo rosso? Tovagliolo comunista!
Quello, più che un picchiatore, è picchiato nel cervello.
Me lo vedo che evita di scopare troppo se no la cappella gli diventa rossa (RIDERE a questa battuta, RIDERE!).

Maroni: Ma La Russa m'interessa minga, siete vi alter che state impe-

PM: Sì, Impedocle diceva che ci sono quattro elementi primi e immutabili.

Maroni: Quater gatt?

PM: Sì, quasi: l'ignoranza, l'orgoglio di essere ignoranti, i soldi e la figa.
Ciao va', che adesso devo riflettere su uno degli elementi, indovina quale.

Maroni: La Lega ce l'ha duro?

PM: ... sì, certo, so' boni tutti, a metterce er cartello... so' buoni tutti.

SE TELEFONANDO IO DECIDESSI DI FARE UNA CONFERENZA STAMPA IN DIRETTA IO CHE SONO BELLO, RICCO, BIONDO E CON UN CONTO IN SVIZZERA DIREEEEI... TANTO VALE TUTTO! VIGLIACCO SE VALE TUTTO.

martedì 9 marzo 2010

Film d'amore e d'anarchia, ovvero oggi pomeriggio alle quattro in Via del Giambellino nella nota drogheria...

A volte, guardando al passato, si apre una finestra.
A volte la puoi anche scavalcare.
A volte però non sai mica dove finisci.


Quando ti ho vista entrare, seri lì a trabescà con la radio.
Me pias, quando ho un cicinin di tempo, vardà tutt ‘sti rob chi de l’elettronica: dietro al bancone da fondeghee batte un cuore da inventore.
Ci avevo in mente di trà föra vùn di quei cos, come se ciama, uolchi tolchi, dai pezzi della radio che la funziona no, ma poi ti te set vegnuda denter e mi sono fermato a guardarti.
Mi immagino il tuo suono, il frusciare di sete e crinolina, quando ti muovi in mezzo agli scaffali del negozzi, tocchi qualche sapone, guardi qualche riproduzione della Scala di Milano, annusi lo zafferano che viene dalla Turchia e te vedet minga i miei aggeggi elettronici, non li guardi mai, proprio mai. Il Remigio el gà rasun: lì in bottega, in mezzo al rusmarin e al furmaj, sun mica robi del mi mesté.
Il tuo suono più vero. Al cognussi minga per davvero: il baccan delle macchine e del tranvai qui copre semper tus cos.

Buongiorno sciur Beppe, mi dici, le è per caso arrivata la nuova crema Grammatica?
Ti rispondo che in negozzi l’è finida.
Tu pieghi un po’ le labbra, un accenno di broncio, e la bocca la diventa più piscinina, si rimpolpa, mi viene voglia di assaggiarla, e sento caldo sul collo.
Scuoto la testa, mi passo una mano tra il colletto del camice marròn e la guancia, cercando di nascondere il rossore crescente, e poi senti dumà che fregg.
Le tempie gelide, le orecchie rosse, che vergogna.
Ma tanto tu non te ne accorgi, per mia fortuna, per mia disgrazia.
Di grammatica non ce ne è mai abbastanza, dici, e mi sembra che la tua bocca si distenda per un attimo in un sorriso. Magari stai scherzando, io parlo male l’italiano, mi scappa semper il milanès, e tu sei una professoressa… forse alludi a questo, non alla crema.
Provo a sentire il Remigio in magazzin, forse ghe n’è ancora qualche scatola, ti dico.
Mentre infilo il dito nei cerchi del disco del telefono, ti spio.
I capelli neri, riflessi di blu, raccolti con un nastro dai colori tenui, le sopracciglia che ti si sono distese per la speranza di rincasare con il vasetto di Grammatica, o forse perché ti fanno pensare a qualcosa quelle cornici per foto che stai osservando.
Magari pensi al tò moros, che insegna alla scuola, come te… chi lo sa, non so molto di te, e l’è mej inscì.

Dalla cornetta arriva solo il suono acuto di libero, ma dall’altra parte il Remigio non risponde… strano, dico soprapensiero.
Mi accorgo che mi stai guardando: i tuoi occhi castani sono scuri, e in un attimo riprendono i soliti sconvolgimenti. Caldo, poi freddo…
Allora scappo dedré, dicendoti: senta, faccio un salto in magazzino, il Remigio non risponde.
Mi tolgo il camice e mi metto il paletot.
Tu mi dici: ma non si disturbi sciur Beppe, torno domani.
Ma la se figuri, signorina Iside, ti rispondo usando il tuo nome, come hai voluto che facessi fin dalla prima volta, e un brivido mi scompiglia i peli della nuca. Che musica proibita: Iside.
Usciamo assieme dal negozio, metto il cartello “torno subito”, e tu mi dici che allora ci vediamo tra mezzora, io annuisco e basta perché so che, se parlassi balbetterei.
Monto sul velocipede e sparissi ne la nebbia.

Che scighera che la ghè.
Tutta nebbia che l’è vegnuda giò col buio.
I lampioni non sono ancora accesi, ma è già notte anche se l’è appena dopo mezzdì.
Non si vede e non si sente niente… mi sono perso?
Impossibile, conosco a memoria queste strade… pedalo lungo il Giambellino, poi a destra, sul ponte del Cassala, poi curvo, giù, verso l’alzaia del naviglio, dove l’odore di umido diventa spesso, di acqua… ma quella… quella è la spicciola del Remigio.
Appoggiata a un palo della luce.
Smonto dalla mia, mi avvicino portandola a mano.
Non vedo altro che nebbia e il palo con la bici del Remigio, e un borsone lì di fianco.
Poi compare dall’alto, scendendo dal palo con tutta l’imbracatura degli elettricisti, lasciandosi scivolare a strapponi, poggiando i piedi al lampione alla fine di ogni tratto verso il basso.
Atterra e mi guarda con un sorriso sghembo mentre si toglie il cinturone, l'è semper l'istess il Remigio.
Io devo avere un’espressione da martur, perché mi dice subito: che facia de stupid.
Mette l’imbracatura nel borsone, e io quasi gli urlo: ma ‘ste fé? Te se matt?
Sabotaggio della Regia Azienda Elettrica, dice mentre indica in alto con un dito, sempre sorridendo con quel modo lì da ganassa, e conclude: oscuro tutta la zona!
Tu continuavi a rimandare, a dire che adesso l’è minga il mument, che ghè in gir tanti soldati… alura ho iniziato da me, se no spèta spèta che l’erba la cress.
Ma come…? Perché…? Non so mica cosa chiedergli, tanto sono rimasto di sasso. Non credevo che facesse sul serio, tutte le volte che mi ha proposto di vandalizzare l'illuminazione pubblica...
Perché? Alza le spalle… ghè la nebbia, senza luce vien fuori un bel rebelott mentre il Filiberto con tutto il suo regale seguito va al Teatro Ducale, dice, mentre ancora fruga nella borsa.
Come? Ci vuole ancora qualche lampione. Metti un po’ di questa sostanza sul rame dove si attaccano i fili e, appena li accendono… salta tutto il quartiere, finisce di spiegare, ridacchiando, mentre il suo indice, ancora infilato in uno dei guanti sporchi di grasso che usa al lavoro, ora è puntato sul vasetto della "sostanza" che tiene sul palmo dell’altra mano.
Un vasetto di crema.
Crema Grammatica.

Robi de matt.
Ma cosa l’è che ghè denter a quella crema lì?
Io non gliela porto mica alla signorina Iside.

Cià, va’, Remigio, dammene un po’ anca a mì, che mi metto a sgamelà.
Va ben, Beppe, ma moeùves, prima che ci arriva il Filiberto.

giovedì 4 marzo 2010

Paradossiamo fatti così.

Diciamo in giro che noi non siamo come loro che dicono in giro che loro non sono come noi.

lunedì 1 marzo 2010

Gennaio sa aspettare.


Basta.
Sono vecchio.
Per questo mi apposto in questa soffitta.
Ho fatto le provviste, ho riempito la mia borraccia, ho preso una coperta per coprirmi.
Ho preso anche tanti libri per i momenti più duri, quelli in cui alla solitudine magari venga in mente di intagliarmi da dentro il mio tozzo di legno scuro, con il suo coltellaccio ruvido.
E ho pure la mia melodica, per soffiare le note che il mio cervello accumula nei momenti distratti.

Il mio cervello, la mia macchina da guerra.

Mi piaceva chiamarlo così, un tempo, quando smisi di fingere e ammisi di possedere una certa intelligenza. "Sufficientemente potente", almeno, come i sistemi formali a cui si applica il teorema di Gödel...

No, ho detto basta, e basta sia. Il treno di pensieri ha questa tendenza: mi sfugge di mano.
Ma adesso sto qui seduto, appoggio questa macchina da guerra sulle gambe, come un arco, la freccia incoccata, la corda a riposo.
Sto seduto e osservo.
Non ce la faccio più a corrergli a dietro.

Dalla finestra di questo abbaino fisso ogni angolo, ogni riflesso di queste dune candide che sono i tetti della città.
Antenne, ringhiere, vecchi pali per stendipanni arrugginiti, emergono come giunchi da una palude soffice, e il mio sguardo serpeggia tra loro, setaccia ogni pezza d'ombra azzurra che questo cielo limpido occhieggia sulla neve infinita.

Non mi sfuggirà.
Perché questa volta lo attendo.
Ho tutto quello che mi serve, ma soprattutto ho tante taniche di pazienza, ne ho fatto una scorta.
Attendo, aprendo tutte le finestre di questo palazzone ammuffito, scuro, polveroso, che sono diventato.
Percepisco.
Annuso l'afrore di acqua mista alle arance e alle mele, ghiacciata a mucchi laggiù sul marciapiedi, davanti al negozio dell'ortolano, tra le cassette esposte al gelo.
Sento un clacson offuscato. Qualcuno che, non appena è scattato il verde, là al semaforo che incrocia la circonvallazione, incita il piede di qualcun altro, poco reattivo sulla frizione, forse una donna che parla al cellulare, la preda preferita dell'automobilista con gli occhi arrossati dai venerdì che non arrivano mai.
Sento anche il mio corpo seduto, la gamba sinistra che formicola e che devo muovere, il piede sinistro che diventa più freddo del destro. Il dolore che sale dalla nuca, una lenta marea che allaga il mio cranio, che sgorga da una fitta e raggiunge l'occhio, a farlo bruciare, a fargli dimenticare il suo colore, bruno di tanti inverni, ubriacandolo con una sofferenza attuale, che se ne frega del passato. Anche, a tratti, bussa la caviglia di destra, lancinante, senza evidenti ragioni, un'estrazione fortunosa, come un lotto che ti urli gaudente che hai vinto un male cane, evviva, gioisci.

Ma non mi importa, e continuo a trafiggere con la mia concentrazione questo deserto irregolare dipinto di freddi accecanti.
Quando si farà vivo, non mi sfuggirà.
Mi lasciassi andare al riflesso meccanico da segaiolo mentale che prende per il culo la filosofia zen, potrei dire che "aspetto l'aspettare".
Ma no, non è così. Io do la caccia a qualcosa di concreto, luminoso e crudele.
Il cacciatore di città.
Chi caccia il cacciatore?
Tocca a me. Una vita a inseguire paradossi si paga duro. Mi sta bene.
Dimentico il mio cervello, il mio corpo, traslucido mi contorco in un altro me stesso, fatto di sola attenzione, nato per registrare ogni minimo accenno d'esistenza.
Registrare e stanare.

Passerà di qui, il bastardo.
Eh, se passerà.
Si staglierà nel biancore e poi nella trasparenza turchina del cielo, come un pennacchio di fumo esalato da un comignolo nero, salterà nell’aria graffiante, facendo brillare la sua armatura di ghiaccio contro il sole, frullerà come un falco gelido e tagliente, atterrando in bilico su uno spiovente, scivolando, guardandosi in torno, gli occhi vuoti, brandendo il suo fucile di sangue, frenerà con piedi di acciaio.
Alzerà una nube di neve.
Sarà l’innesco. Sgranchirò gli arti impolverati di sonno, sbufferò perdendo olio come un vecchio motore, ma raccoglierò l'arco, tenderò la corda, strizzando una palpebra, prenderò la mira, e...

Bisogna che mi calmi.
Non ho più le forze per andargli a dietro in questo modo.
La certezza, devo ritrovarla... tocco il manico consunto dell'arco e sì, eccola di nuovo.
Ci riuscirò.
Prima che venga il buio di Febbraio.
Prima che la pioggia sciolga la neve.
E questo nodo alla gola.